Da 14 anni si sente parlare su organi di stampa e negli incontri politici, di conflitto di interessi che esisterebbe per alcuni uomini politici italiani.Tale conflitto è indicato dal codice civile e sono ben delineati i comportamenti da tenere da parte degli amministratori indicando pure le sanzioni, nel caso in cui questi comportamenti vengano disattesi. Cioè è fatto obbligo all'amministratore, nel caso di una o più iniziative, di informare prima gli organi di governo della società del conflitto esistente fra l'azione della società e l'amministratore (compresi i terzi a lui riconducibili). In caso di decisioni prese, l'amministratore in conflitto, deve astenersi.Nel caso in cui tutto ciò non avvenisse, gli eventuali danni che dovesse patire la società, sono direttamente imputabili all'amministratore con apposita iniziativa legale.Questa disciplina è stata introdotta anche, con apposita legge, dalla amministrazione dello stato in relazione alla predisposizione e promulgazione di leggi che regolano il funzionamento dello stato e della società. La legge affronta questa disciplina, ma non attua i principi di comportamento che evitino nel modo più ampio, che il conflitto possa sussistere. Almeno in Italia. Nelle democrazie anglosassoni infatti, dove questo conflitto si può manifestare con più frequenza e da più tempo che in Italia, si è individuato uno strumento, obbligatorio, che regoli tale disciplina, strumento che in modo del tutto volontario è stato attuato dal nuovo Governatore della Banca d'Italia, Dr. Mario Draghi. Il Governatore ha infatti liquidato tutte le risorse personali che potessero essere in conflitto con la sua nuova funzione, risorse che sono state assegnate ad un gestore, senza resa dei conti per il mandante. In USA lo stesso sindaco di New York, Bloomberg, ha fatto altrettanto. In Italia tale azione legale non è stata drastica e quindi la conseguenza è che questo conflitto continua a permanere.
Le intercettazioni di Saccà e Berlusconi riportano alla luce l'urgenza di risolvere questa anomalia di monopolio mediatico per il controllo dei mezzi di comunicazione. Berlusconi è sicuramente un politico piccolo ed un piccolo uomo, però è anche un grande comunicatore.
E' del tutto evidente, infatti, che le invettive, le ingiurie e le battute (comprese quelle indicanti come prostitute le donne del centrosinistra che lavorano in Rai) avevano l'obiettivo di distrarre l'attenzione dall'unica vera piaga che si è manifestata: il conflitto di interessi.
Non serviva, comunque, alcuna intercettazione telefonica per prendere atto che in Italia si è realizzato un solo polo radiotelevisivo nelle mani del Presidente del Consiglio, nonché proprietario di Mediaset. Oggi addirittura si cerca di mettere uomini scelti da Berlusconi nella commissione di vigilanza RaI, da sempre spettante all’opposizione, altrimenti che vigilanza sarebbe! E così Berlusconi vuol comandare tutto infischiandosene del conflitto di interesse.
Tale visione rappresenta un pilastro del "Piano di rinascita nazionale", stilato a suo tempo (anni 70) dalla loggia massonica P2 di Licio Gelli, cui Berlusconi era affiliato (tessera n. 1816).
Ma così non si può fare!
La riforma del conflitto di interessi e dell'intero settore dei media è una grande e irrisolta questione democratica , che fa dell'Italia una nazione "malata" nel contesto mondiale, come è stato rilevato in modo inequivocabile da tutte le agenzie internazionali (siamo al 46esimo posto nella classifica dei paesi a minore libertà informativa e di tutela del pluralismo).
La tragedia è che sino a d oggi molti di coloro, anche nel centrosinistra, che si sono autodefiniti moderati e liberali, sono apparsi i più interessati, almeno nel settore dei media, a difendere le rendite di posizione e a non disturbare "il manovratore", più che a preoccuparsi dell'interesse generale del paese. Strano! Forse in fondo piace conservare una posizione d’elite e non si difendono più gli elettori.
sabato 15 novembre 2008
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